di Daniele Perboni
Narra la leggenda che lo sport moderno, e dunque anche l’atletica, sia nato in Gran Bretagna, diffondendosi poi in tutto il mondo a seguito dell’espandersi del regno britannico in ogni angolo del globo.
Non ci soffermeremo a narrare la lunga epopea dei campioni che sin dagli albori (il 1793, scrive Luciano Serra in una pubblicazione del 1969) hanno impresso i loro nomi nella leggenda, ma qualcosa di curioso possiamo anche raccontarlo. E questa curiosità riguarda anche la Cinque Mulini. Già, ma che ci azzecca la storia dello sport con il cross di San Vittore Olona? Centra, centra. Se avrete la pazienza di leggerci sino in fondo lo scoprirete.
È consuetudine affiancare la corsa campestre a fango, freddo, lunghe distanze, fatica (talvolta quasi disumana), foto di volti trasfigurati dalla stanchezza, corpi distesi su prati ghiacciati, atleti con le bocche spalancate alla ricerca di ossigeno. La maggioranza dei vecchi aficionados poche volte ha assistito a qualcosa di diverso. Chi scrive, però, ricorda manifestazioni internazionali corse nella polvere di caserme militari, all’ombra dei fiori di mandorle o su splendidi prati verdi,
morbidi come tappeti. Atleti sfilare veloci ed eleganti quasi stessero correndo su elastiche piste di materiale sintetico. Proprio con questa immagine possiamo ricollegarci a quanto sostenuto all’inizio: il legame fra lo sport moderno e la Cinque Mulini. Fra gli iscritti della 92ª edizione figurano anche alcuni miler, cioè specialisti dei 1.500, termine derivante dal miglio inglese (1.609,344 metri), corrispondente a 4 giri di pista + 9,344 metri. Poiché la storia delle corse nell’atletica moderna nasce con le competizioni britanniche, dall’unità di misura del miglio nacquero il quarto di miglio (440 yard) e il mezzo miglio (880
yard). Da queste misure ecco le distanze metriche dei 400, 800, 1.500.
Però, dirà qualche lettore, ancora non ci siamo: che centra tutto questo con il cross di San Vittore Olona? Calma, ci arriviamo. Ecco spiegato l’arcano: fra i migliori iscritti si può leggere il nome di Pietro Arese, primatista italiano dei 1.500 (3 minuti, 30 secondi, 74 centesimi), bronzo continentale a Roma, sempre su questa distanza e finalista ai Giochi Olimpici di Parigi 2024. Mica bruscolini…
Uno specialista del mezzofondo che ha sentito la voglia di misurarsi su una distanza (10,200 km) non certo usuale per lui. Un chilometraggio che lo metterà certamente in difficoltà e non lo aiuterà nella ricerca della migliore posizione al traguardo. Inutile chiedergli di salire sul podio. Da Pietro ci si attende una prova onesta, grintosa e coraggiosa.
PIETRO ARESE è nato a Torino l’8 ottobre 1999 (1.89mt X 69kg), allenato da Silvano Danzi. È di San Mauro Torinese, hinterland a nord-est del capoluogo piemontese, e non ha alcuna relazione familiare con il campione azzurro Franco Arese. Fino ai 14 anni ha giocato a pallavolo.
Poi, per curiosità, si è dedicato all’atletica. All’inizio si è dedicato al salto in lungo, per passare poi, nel giro di pochi mesi alle corse. In più di un’occasione ha fatto doppietta di titoli italiani giovanili vincendo nelle siepi e nei 1.500 metri.
Dall’autunno 2018 è entrato nel College del Mezzofondo a Varese, dove si è laureato in ingegneria per la sicurezza del lavoro e dell’ambiente, passando sotto la guida di Silvano Danzi. Nella stagione 2021 ha corso nei 1500 in 3’37”23, un tempo che non si vedeva da quasi vent’anni per un under 23 italiano. Ai Campionati Europei di Monaco (2022) ha sfiorato il podio, piazzandosi quarto, mentre agli Europei di cross di Venaria Reale ha vinto l’oro con la staffetta mista.
Nel 2023 con 3’55”71 ha riscritto il primato italiano del miglio in sala dopo 50 anni e all’aperto è sceso a 3’33”11, secondo azzurro di sempre.
È un grande appassionato di “Lego”, ha studiato pianoforte e lo suona ancora per svago.