ATLETICA LEGGERA
N. 364, aprile 1990

Gelando Bordin, sesto alla fine, all’uscita dal Mulino nella 58ª 5 Mulini (Foto V. Muttoni).
Sommario
La 5 Mulini quest’anno ha laureato un nuovo campione: Moses Tanui, keniano noto per gli ottimi piazzamenti, ma fino a qualche tempo fa considerato un gregario di lusso. Sconfitti l’etiope Abebe e John Ngugi. Bordin, primo degli italiani, sesto.
Remo Musumeci
San Vittore Olona, 1 aprile
Oh Nadia, vestita di nuovo come le brocche dei biancospini… Nadia Dandolo, splendida dominatrice della 5 Mulini, la bellissima classica che chiude la stagione del cross – anche se qualcosa di gradevole ancora resta – non ha per fortuna i piedi piagati dal rovo come il piccolo protagonista della poesia di Giovanni Pascoli. Ma di piaghe la grande atleta ne ha sofferte tante e nel buio tunnel del dolore ci è vissuta a lungo. Ne è uscita con una prorompente gioia di vivere e dopo aver dominato la stagione italiana e colto un eccellente quinto posto ad Aix-les-Bains (il Campionato Mondiale di cross), ha stravinto 15 anni dopo Gabriella Dorio, vicentina come lei, la corsa dei mulini.
Nadia porta un cognome importante, quello di una famiglia veneziana che dette quattro dogi alla serenissima Repubblica marinara. Quel cognome lo porta bene e credo non sia sbagliato dire che l’atletica italiana abbia trovato una regina. Nadia è così felice di quel che sa fare e della volontà che l’ha strappata al buio tunnel della pena da non soffrire nemmeno del rammarico di aver perso tanti anni. Ha vinto come si conviene ad una regina, ha vinto come ha saputo vincere sui prati di San Vittore Olona, la leggendaria norvegese Grete Waitz: è scappata ed è arrivata al traguardo, solitaria, splendida e radiosa.
La sua corsa ha chiuso il pomeriggio. Prima di lei, per esigenze televisive, – mamma TV detta regole e orari, sempre e dovunque – Gelindo Bordin aveva tentato con sorridente coraggio di contrastare l’Africa che corre. Lui, col suo passo di maratoneta, contro gazzelle così agili da non dare nemmeno l’impressione di toccar terra. Ma la Cinque Mulini si è da tempo trasformata in reame nero e nemmeno si riesce ad immaginare il bianco capace di violarlo quel regno impenetrabile. E se si riesce a immaginarlo un bianco tanto bravo lo si deve comunque cercare in Africa, in Marocco per esempio.
E comunque il campione olimpico della Maratona ci ha provato ed è subito corso davanti a dettare il ritmo aiutato prima da Franco Boffi e poi da Giuseppe Miccoli. Gli africani non vadano mai alla pole position perché non dispongono di una mirabile capacità di districarsi nel gruppo con la tecnica dello slalom e con la capacità di usare una marcia ad altri sconosciuta. E infatti, assieme a Gelindo si sono quasi subito contati cinque africani, gli stessi cinque che hanno poi occupato le prime cinque posizioni al traguardo: Moses Tanui, Addis Abebe, John Ngugi, Boniface Merande e Joseph Kiptum. Pensavo ad Addis Abebe, l’etiopico dall’età misteriosa e genericamente indicato come nato nel 1970. Il mese e il giorno non li conosce nessuno, forse nemmeno lui.
Pensavo a lui per via dell’agilità. Ma per vincere avrebbe dovuto giocare assai bene nella strettoia del Mulino Meraviglia, l’ultimo sopravvissuto dei cinque che hanno dato il nome alla corsa. A proposito di questo mulino mi viene da pensare che il Comune di San Vittore Olona dovrebbe acquistarlo e trasformarlo in museo.

Moses Tanui in azione al Mulino Meraviglia (Foto V. Muttoni).
Ma il piccolo atleta senza età non ha saputo giocare nel mulino, soprattutto perché Moses Tanui, il più arrabbiato dei protagonisti sembrava che si fosse stancato di recitare il ruolo di eterno secondo. Il keniano non ha mai perso di vista il piccolo rivale e lo ha abbattuto con una sontuosa volata sul prato dello stadio.
Addis Abebe se è vero che ha 21 anni è un miracolo. Ma io credo che sia assai più vecchio. E comunque, nell’anima ha secoli di vita. Io credo che si porti appresso buona parte delle tragiche vicende che hanno segnato la vita del suo Paese. Sì, anagraficamente è molto giovane ma in realtà giovane non lo è mai stato.
John Ngugi ancora una volta ha deciso la corsa con uno scrollone violento che ha ridotto a tre il numero di coloro che puntavano al successo. Ma al grande campione è come se mancasse qualcosa. È sempre inimitabile, col suo gesto sornione che lo fa somigliare ad un grosso gatto. E la sua falcata d’attacco è sempre mortale. Ma è diverso dal terribile corridore di tre o quattro anni fa. Credo che si sia imborghesito e che abbia perso per strada buona parte delle ferree motivazioni che lo spingevano. Si è comprato una linea di trasporti automobilistici e non credo che abbia più tanta voglia di agonizzare sui duri tracciati dell’Atletica.
La giornata era calda, quasi appiccicosa è il terreno asciutto. Era un po’ come correre su pista. Gelindo non ama i chiodi perché è fragile e un po’ ne soffre. Quando ritmo ha scelto frequenze troppo rapide, non ci ha nemmeno provato a reggere gli africani, impegnati come in una gigantesca faida personale, l’un contro l’altro armati. Il bambino senza età ha provato ad andarsene con folate corte e mortali. Ma Moses Tanui e John Ngugi lo hanno sempre tenuto con briglie dalle quali era impossibile sciogliersi.

Tanui batte in volata Addis Abebe e Ngugi (Foto Omega).
Ricorderò la volata sull’erba giallastra dello stadio come le pennellate di un’impressionista. E ricorderò Nadia vestita di nuovo e con la stessa anima rafforzata da una lunga pena e da un infinito ritrovarsi.

