San Vittore Olona, 23 marzo 1975
Di Gianni Merlo – articolo pubblicato sulla rivista “Atletica Leggera”
John Walker (a sinistra) e Filbert Bayi in azione nella 5 Mulini (Foto Olympia)
Filbert Bayi è grandissimo. Non lo scopriamo certo adesso, ma la 5 Mulini ce ne ha offerto una nuova dimensione.
Lo si voleva corridore folle, senza un briciolo di acume tattico e invece ha dimostrato di essere completo in tutto.
Bayi è un atleta scaltro ed è tutt’altro che istintivo. Aperto e pieno di brio in compagnia. Sì richiude a riccio solo quando la gente è troppo invadente con lui.
Quando è sbarcato a Linate in completo estivo, con camicia a maniche corte, pensava che il cross-country, si corresse appunto in aperta campagna. A San Vittore di erba ne è rimasta pochina. Il cemento rischia di soffocare anche la tradizione. Bayi ha arricciato un poco il naso per l’olezzo dell’Olona, bianco di schiuma. Poi ha scrollato le spalle, pensando che fanno male al suo paese a lamentarsi per la presenza di serpenti. Qui è anche peggio, il veleno è nell’aria.
In gara Bayi ha offerto una dimostrazione di forza resistente e di eleganza cursoria. Era il primo cross della sua vita ed anche la gara più lunga ufficialmente disputata, ma il tanzaniano si è presentato preparatissimo. Quando ha accettato di venire in Italia era convinto di dimostrare d’essere anche in questo campo il più forte.
«Quando gareggio – ha detto – rappresento il mio paese, la Tanzania, quindi è mio dovere non fare brutte figure».
Durante la corsa è sempre stato a rimorchio, prima di Walker, poi di Robertson. Quando ha voluto, ha vinto. Dopo l’arrivo ha cercato di evitare il troppo affetto del pubblico, ma non c’è riuscito. Tutti gli hanno chiesto se d’ora in avanti tenterà il record mondiale dei 5.000. Lui si è un po’ seccato perché le domande sui progetti futuri non gli piacciono.«Farò qualche 5.000 – ha risposto – ma in funzione dei 1.500. Qualcuno andrà presto sotto i 13 minuti? Certo, ma non sarò io, qualcun altro può darsi. Ma è possibile che mi facciate queste domande? È chiaro che andrò alle Olimpiadi. Ed è anche chiaro che, se parteciperò, cercherò di vincere. Ma queste sono cose ovvie. A voi hanno mai chiesto se siete sicuri in quale giorno morirete? Io non sono mai sicuro di niente. Oggi ho vinto, ecco, di questo sono sicuro».
È con lui Nyambui, insegnante di scuole medie, che non è andato molto bene, ma è ancora in fase di rodaggio. Nyambui è contento come una Pasqua per la vittoria del compagno di squadra. Bayi è misurato nella soddisfazione, Nyambui, invece, è esplosivo e la sua allegria è contagiosa. Il neozelandese Robertson per i più era un carneade. Il suo nome era apparso di sfuggita in qualche resoconto dei Giochi del Commonwealth, ma era passato pressoché inosservato. A San Vittore dopo il quinto posto di Rabat, ha ottenuto la consacrazione internazionale.
Walker, prima della gara l’aveva segnalato come favorito e non scherzava. Robertson, leggero ed agile, si è trovato a suo agio nei difficili passaggi dei mulini. Unico fra i grandi, ha scelto un paio di scarpe senza chiodi, per sfruttare al meglio i tratti del percorso sul cemento o sull’asfalto. La minor presa sui tratti erbosi veniva compensata da una maggiore fluidità d’azione nei passaggi obbligati ai mulini.
Robertson guida la corsa davanti a Bayi. La 5 Mulini sta per decidersi (Foto P. Colli)
Bayi l’ha trafitto sul prato, cambiando ritmo improvvisamente e irresistibilmente. Robertson ha tentato una timida risposta, ma contro il tanzaniano scatenato non c’era nulla da fare.Walker , quando è arrivato, era più nero della maglietta che indossava, la gamba destra sbucciata e un poco zoppicante. «L’avevo detto – è sbottato – che questo percorso non era adatto per uno come me. Sono troppo pesante. Al passaggio dei mulini il problema più importante era di stare in equilibrio. Al terzo giro poi, uscendo dal ponticello dopo il Mulino Meraviglia, sono scivolato. Mi è andata bene perché non mi sono scassato. Peccato, perché fra me e Filbert sarebbero uscite scintille nel finale».
Al momento della caduta, Walker stava conducendo la gara a ritmo sostenutissimo.
Luigi Zarcone, primo degli italiani, s’è classificato quarto.
Commento di Arese: «Per noi il podio è sempre tabù. Per una ragione o per l’altra, ogni anno la cerimonia di premiazione la vediamo sempre dal basso».Zarcone si è trovato a disagio con le scarpe dai chiodi troppo lunghi. Non ha accampato scuse, però, ha sbagliato e basta. Ha lottato com’è suo costume, con coraggio. L’aver seminato tanti campioni alle sue spalle è già una bella soddisfazione.
Tomasini ha fatto degnamente la sua parte ed ha dimostrato di avere superato la crisi di Rabat. Lauro, in fase di recupero dopo un appannamento della condizione, si è mosso bene. Ortis ha preso le misure dei grandi ed ha cominciato a digerire le scoppole del cambio di categoria.
Gabriella Dorio leva le braccia al cielo per la vittoria. La sua felicità è palese. (Foto P. Colli)
Gabriella Dorio ha trionfato nella prova femminile. Quasi le venivano le lacrime agli occhi per la felicità quando ha tagliato il traguardo. Non l’avevamo mai vista così felice. Dopo lo smacco dell’anno scorso, questa volta ha dominato la gara come ha voluto. All’inizio ha rimediato un calcione ed è arrivata alla fine con una caviglia sanguinante, ma ha saputo stringere i denti.La Holmen e la Gargano le sono state alle calcagna per tre chilometri, poi la gazzella vicentina ha preso il volo. Proprio quando la Dorio ha attaccato, la Gargano è inciampata, accusando fitte ad una caviglia. Senza questo incidente, il successo italiano sarebbe stato, forse, più pieno.
La Holmen era un po’ seccata del secondo posto alle spalle della giovane Dorio. La Braghina ha dovuto faticare per avere la meglio allo sprint sulla Tomasini per il quarto posto. La campionessa olimpica dei 1.500 è apparsa dimessa, come d’altronde la Ridley, disturbata dal nervo sciatico.Nella prova giovanile il trevigiano Tubia, al terzo giro si è liberato della compagnia di Muscardin e De Cataldo e ha vinto in solitudine. Tubia ha ventidue anni e fino ad ora non aveva mai ottenuto risultati di rilievo.
Concludiamo con il meritato plauso a quelli della Sanvittorese, che ancora una volta hanno confezionato una 5 Mulini coi fiocchi. Andando avanti di questo passo, il presidente, Ivo Mariani, e i suoi collaboratori, Galli e Turri, continueranno a stupirci. Ne siamo certi. Non è forse vero che ci stanno viziando un po’ troppo?